Secondo questo chiaro, cinico e sferzante articolo https://www.rockit.it/articolo/videoclip-italiani-registi i videoclip italiani farebbero schifo perché antichi e perché troppo improntati sulle star nostrane sempre in primo piano.
Una logica degli anni 80 ( non tutti ) che vede il videoclip come un collage di immagini a corredo di un brano musicale.
La giornalista si rivolge poi direttamente a noi registi bacchettandoci.
Mi viene in mente quella volta in cui, chiamato all’improvviso a realizzare delle riprese in ambito di un importante festival di musica, un artista molto popolare, mi disse esagitato perché, nonostante il poco tempo a mia disposizione, stavo cercando di creare comunque una narrazione:
“è un videoclip, mica un film, riprendi un po’ di immagini come vengono, poi tanto le monti dopo a tempo”
Ti assicuro che in quell’istante ho pensato che le mie orecchie di peggio avessero solo sentito frasi del tipo “tanto lo sfondo lo puoi cambiare in post” oppure “tanto quello poi me lo cancelli in post produzione”.
Questo esempio è utile a comprendere con chi spesso abbiamo a che fare: artisti egocentrici che se pur grandi a fare musica non lo sono altrettanto in un campo del quale spesso ignorano tante cose.
Basterebbe lasciarsi guidare da noi registi, ma d’altronde, non li giustifico, ma li capisco.
A partire da Vasco Rossi (se guardi il videoclip di Eh Già) fino anche ai gruppi più d’avanguardia, vuoi per il grande ego, vuoi perché i fans vogliono vedere la star, vuoi per ridurre i costi, ormai girare un videoclip si riduce a:
???? Piazza l’artista con uno sfondo che canta il suo pezzo.
Tranne che per i fans più sfegatati, questo tipo di video vorresti dirmi che dopo 30 secondi non ti ha già, scusa il francesismo, appallato?
Prendiamo invece il caso di Rovazzi. Lo so, sto citando Rovazzi a mio rischio e pericolo, il discorso è diverso. Attorno a un pezzo pop (è più elegante detta così) ci costruisce su una storia.
I suoi videoclip, benché il suo genere musicale stia a me per come l’aria fresca delle Dolomiti stia a Pechino in Agosto, io li guardo e mi piacciono e sarei felice di dirigerli.
Oggi la quarantena ha fatto di più, ha fatto sì che gli artisti si riprendessero direttamente spacciando queste riprese come videoclip. È un po’ come se dicessimo che Keith Richards arrivasse al massimo dello sballo con le sigarette al mentolo!
Ci sta tutto, è una situazione d’emergenza ed è bello avere gli artisti tutti intorno a me, come Ennio Doris, ma il videoclip è altra cosa.
Scommettiamo che d’ora in poi si prenderà in considerazione sempre di più il self tape?
È anche vero che se la musica vive di contaminazioni, il video deve ponderarle bene. Siamo sicuri che fondere musica e youtuber o Instgram stories style sia la cosa giusta?
Si, ma il mantra è: “e le visualizzazioni?”
Un video di Frank Matano che fa le scorregge al parco, oggi ne ha 20 milioni. Quindi?
Beh, chi la fa, l’ aspetti. Se non si è puntato a fornire arte e narrazione al videoclip è quasi naturale pensare che a breve neanche serviranno più le case di produzione e i registi. Almeno in Italia, visto che invece a livello internazionale i Gondry e i videoclip che (come il fashion film) fondono due stili diversi sono in auge da almeno un ventennio.
Ma come direbbe il mio organizzatore generale di fiducia: “gli americani fanno un altro mestiere”.
E se guardiamo nel mondo della musica indipendente è così? Certo che no. Gli indipendenti hanno fame di emergere. Se non fosse così non avrebbero speranze. Chi pensa che basti fare uno split screen come Vasco, ignora di non essere Vasco. E’ dura ma è così.
Di seguito trovi un videoclip che ho girato, non è il migliore o il più “blasonato” che ho fatto, ma è sicuramente quello dove l’omaggio al cinema è ben visibile.
C’è una storia. C’è il gruppo che si esibisce. C’è la presentazione dell’artista. Il pezzo mi piace molto .
Il cinema nel video è come il sale, dosato in modo corretto rende ogni nostro piatto prelibato. Senza sale? Lo gusteresti allo stesso modo?
In questo rispondo alla giornalista, perché come regista mi sento chiamato in causa. Qui sta la mia personale autorevolezza e il mio stile. Mettere un po’ di cinema in ogni lavoro e creare una storia che faccia pensare allo spettatore: e ora come finisce?
Semplicemente: il finale è diverso dall’inizio. Come un circuito di Formula 1 che non sia quello del Principato di Monaco.
In ogni lavoro quindi:
✔Un inizio, non necessariamente un intro
✔Una storia
✔L’artista (non necessariamente e nei prossimi articoli dirò anche il perché)
✔Un finale
????Cinema
Perché le grandi etichette non dovrebbero fare lo stesso?
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Buona visione e buon ascolto